“L’artista deve intingere il pennello nella mente… bisogna che egli dia più da pensare di quanto faccia vedere all’occhio…Chi se ne intende avrà materia per pensare, e chi è solo amatore imparerà a pensare”. (J.J.Winckelmann) Stile personalissimo, quello del valtellinese Ugo Mainetti. Stile personalissimo e quindi difficile da definire nel panorama tradizionale e (purtroppo) provinciale della nostra pittura contemporanea. Possiamo scrivere che l’opera pittorica di Mainetti chiude il cerchio figurativo tra due correnti artistiche imprescindibili per definire il Novecento: l’informale e il surrealismo. Avvalendosi di un linguaggio informale, che ha nel colore il suo punto di forza, Mainetti non rinuncia mai a una narrazione elementare, intimistica e onirica, a-temporale e allo stesso modo profondamente “vissuta”. Nelle sue opere coesistono flussi di memorie coniugati al presente, frammenti di passato che riaffiorano al futuro. Alla nozione di un tempo in progressione, l’artista Mainetti oppone un percorso diverso, più sorprendente e dispettoso. E può accadere che in un mondo sommerso riemerga con violenza all’improvviso, rendendo futili o accessorie, con la vitalità d’impatto, collocazioni in un tempo cronologico. Sovviene subito ad evocare l’opera pittorica di Mainetti, un ricordo di Giuseppe Ungaretti, eloquente e profondo: “Vedere non è fidarsi delle apparenze, ma insegnare all’occhio a servirsi di quelle armi mentali che formano le apparenze e portano a sapere come le apparenze si fondano e perché ciò avvenga, portando le apparenze a rendere più segreto il segreto dell’uomo, il cui destino è, essendo trovato un perché, di cercare il perché di quel trovato perché…” Mainetti ha convissuto con la parabola dell’Informale o dell’espressionismo astratto. In seguito il pittore ha avuto un folgorante contatto col surrealismo. Mainetti è pittore onirico quanto Dalì e Mirò. Dalì e Mirò.”Andata e ritorno” per l’opera pittorica di Mainetti, Le tenebre della notte-giorno “lavorativo” per Mainetti, sono squarciate da un vero e proprio “furor” cromatico: magma incandescente di vitalità nelle sue forme disegnate coi colori, coi rapporti primo piano/fondo, in un gioco sapiente di percezioni visive e letture dell’opera a più registri. Il colore è la “summa” di tutti i valori per Mainetti. L’opera pittorica, per Mainetti, allora non “finge” più, non “imita” niente, non è assurdamente realistica, è essa stessa soggetto, crocevia di interpretazione, opera “classica” e inesauribile di fascinazione intellettuale, tutte le volte che la mente umana vi si accosta. Mainetti, artista informale e personalissimo, accuratamente “inganna” e provoca il subcosciente dello spettatore dove la rappresentazione “realistica” nelle sue opere resta. -come parvenza nelle sue forme in perenne stato di dissolvenza e decomposizione; -oppure resta come partenza per itinerari intellettuali dell’opera stessa. Se l’opera pittorica per Mainetti è operazione essenzialmente notturna e onirica, suo tema ricorrente imprescindibile e ossessivo è allora la sessualità, fonte di piacere e origine di tutte le “cose” vitali. Abbiamo scritto per l’opera pittorica di Mainetti che essa accuratamente “inganna” e provoca il subcosciente dello spettatore. Difatti osserviamo quelle sue forme, quelle sue ombre, quel suo rappresentare la notte con flash-back sugli episodi, le figure, i movimenti del perenne “esistere”. Un “esistere” ormai connotato dal male (violenza, malattia, speculazione, droga, aids, corruzione, demagogia, mafia…) eretto a “sistema” del tutto. Un mondo impossibile, travagliato, alienante, che va descritto con un “metodo di rappresentazione surreale, che annulli il “potere” falso della rappresentazione realistica “a tutti i costi” prospettica o assonometrica, per un altra dove spazio, tempo, suoni, colori, odori…siano miscelati e l’approccio sia “altro” e non quello consueto, in opere che Mainetti ha voluto regalarci per rompere nettamente con la “tradizione” della nostra pittura.
Francesco Ruvolo
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