Sarebbe facile catalogare la pittura di questo eclettico artista tra i graffiti della preistoria, vogliamo dire dell’origine dell’arte, intesa come espressione poetica della storicità dell’uomo; perché diciamo questo? perché ci pare di scorgere nell’opera del Mainetti, come “substantia” increata che emerge dal magma primordiale in cui l’universo era attraversato dai primi fremiti vitali: le prime molecole cioè, di materia organica scaturivano dallo scontro degli elementi primitivi ingovernati vaganti nello spazio orribilmente buio e tetro, fino all’esplosione di quel “bing-bang” dal quale come in una sempiterna sorgente alpina, scaturì la vita, vogliamo dire uno stato perfettamente contrario alla morte. Ecco, la pittura neolitica del Mainetti, evoca lo stato di vita: una vita epperò, con le sue creature umane, i suoi simboli, il suo contorcersi e distendersi nelle spire cromatiche di cento avversità, di tribolazioni e dell’incanto a cui l’uomo assai spesso vi si rivolge proprio, per cancellare la pena d’essere nato. Questa specie di fillotassi zoologica, collocata secondo una precisa disposizione sistematica nell’universo mondo, ci avvince prima, ci commuove poi, trascinati dai vivi colori”anch’essi vivi e liquidi, compatti e netti” come in un sogno. La narrazione semplice e dolce di una favola di un qualcosa lontano, di impalpabile, che possiamo tuttavia vedere chiudendogli occhi, proprio nella loro irreale dosatura di figure e di colori, ci costringe alla penosa, quotidiana, verità di questo mondo.