Siamo alla fine di questo millennio e se mi chiedessero di coordinare od esporre un mio giudizio sui fenomeni artistici che hanno contraddistinto il secolo che finisce, posso solo dire che l’arte, dopo la netta frattura con il passato, fino al 1950, scartata la via delle rotture sconvolgenti è andata via via a preferire quella dei ripensamenti, dei recuperi. Il mondo muta in continuazione e sempre più velocemente rivelando segni insospettati. L’uomo sta vivendo un drammatico momento. Da una parte è spavaldo, dall’altra dimostra paura, angoscia, evasione nell’accentuarsi del disagio di un incolmabile adeguamento tra lui e i mezzi dall’uomo creati. Un preambolo questo per tentare di capire lui, Ugo Mainetti pittore, artista che cerca nei sogni e trova nell’abisso la sua vertigine; l’intelligenza che si autocondanna lasciando libero campo all’istinto. Nella sua pittura trova margine la desolante solitudine, l’ironia sottile, il grottesco più audace, il paradosso più paradossistico, una sensualità sfrenata, allo stato bruto. Mainetti lo dichiara, è schiavo del colore: “E’ lui che mi tiene sempre, io e il colore siamo una sola cosa perché è attraverso lui che io realizzo e rendo vivi i miei sogni e così dichiaro- sono pittore-” Non meravigliamoci se il pittore di Tirano, paese alpino e centro turistico in Valtellina, uscendo dalla sua provincia, punta a diventare famoso, è successo in tempi passati al tedesco Emil Nolde, all’americano Fritz Bultman, al russo Poliacoff, al francese Dubuffet, e a tanti altri che troviamo immortalati su famosi dizionari ed in gallerie di stato per l’arte moderna. Naturalmente, v’è chi vede nella trascrizione lirica di Mainetti bruciata nella rapidità dell’attimo, substrati umani più profondi del semplice impulso dinamico; questo atteggiamento affascina,irrita ed esaspera insieme, ma la mia opinione resta condita di ammirazione per questo artista slegato da tutte le regole, perciò, autentico ed originale; piaccia o non piaccia, Mainetti crede in quel che fa. “Ugo Mainetti vive fuori dalla norma, in un mondo di sogni dove le sensazioni si affondano per evocare immagini primordiali; egli rende immediato il confronto pittorico con i modelli psichici che incontra nelle sue fantasie. Un artista, non solo un pittore, uomo inserito in una realtà sua, capace di credere e di far credere: dipinge d’impeto a larghe masse cromatiche, a pennellate rapide nervose e succose, con stesure e lampeggiamenti che accentuano i volumi, le cadenze. Le sagome delle sue figure e dei suoi paesaggi. L’inquadratura acquista valore emblematico a ogni particolare su cui le luci brillano in funzione lirica esaltando la libertà del colore. Mainetti è colmo di umori pittorici d’ottima qualità, coordinati spiritualmente ( e perché no, spiritica?) e le sue composizioni sono tanto più umane in quanto sa inserire in esse tutte le virtù e i vizi dell’uomo attuale con le astrazioni di una inventiva ricchissima”. Per il sentimento della natura e delle cose, per l’eccezione stessa del colore (Mainetti è valtellinese) è tenacemente fedele alla sua terra e a se stesso con puntigliosa e in pari tempo meravigliosa ostinazione. Nella sua opera v’è un tumultuoso agitarsi di colori allo stato quasi puro, un vortice di spazi percorso da violente acclusioni; il velo alzato all’improvviso sulla natura e sull’uomo nel suo incessante divenire. E dal magma cromatico emerge talora un fantasma della realtà evocata. Così Ugo Mainetti ha conquistato la sua inconfondibile identità di emozione e immagine. Nulla lo può distogliere; egli si ritiene in costante rapporto con la vita e questa gli suggerisce, come sempre è avvenuto ed avverrà, i temi per le sue opere. Le sue qualità di impegnato inventore fanno il resto”.

Walter Visioli – 1989